Ritorno all'Italia Paleolitica II

Riprendendo il discorso (LINK ARTICOLO) dal contesto dei Colli Berici, molta della selce lì rinvenuta non è locale, bensì proveniente dall’Appennino umbro-marchigiano. E questo traccia un quadro molto interessante della viabilità preistorica: i cacciatori si spostavano anche di centinaia di miglia, attraversando nella fattispecie la Pianura Padana (all’epoca, una steppa con varietà arboree di montagna, come conifere e betulle), al seguito della selvaggina. Che, sui Colli Berici, era costituita nella stragrande maggioranza da orsi. I resti fossili rinvenuti in questo sistema di grotte, infatti, documentano una predilezione per questi plantigradi, laddove gli ungulati (preda favorite in epoche più recenti) sono decisamente più scarsi (1). La coesistenza di uomini ed orsi, negli stessi ambienti, è del resto ben riconosciuta su entrambi i versanti alpini (il che ha portato alcuni, forse esagerando, ad ipotizzare forme di culto verso questo animale). Si può citare il caso del Buco del Piombo (ad Erba, sulle Prealpi Comasche), abitato in diversi momenti sia da questo animale sia da entrambe le specie umane dell’epoca, Neanderthal e Sapiens. Particolarmente significativa è la Grotta (o il Buco) dell’Orso, nelle Prealpi Luganesi (tra Como e la Svizzera). Sulle pendici italiane del Monte Generoso, questa caverna ha restituito decine di migliaia di reperti, compresi strumenti riferibili all’Homo neanderthalensis (forse la sua più antica attestazione lombarda). Tra i reperti spiccano tuttavia i resti di centinaia di Ursus spelaeus: l’orso delle caverne.

All’estinzione di questo animale, avvenuta durante l’ultima glaciazione, contribuì sicuramente l’attività venatoria operata dall’uomo (2), benchè non nella misura che si potrebbe ritenere. Se alcuni resti presentano indubbiamente tracce compatibili con la macellazione, molti altri ne risultano privi; dobbiamo tenere conto che uomini e orsi sfruttavano (in momenti diversi) grotte ed anfratti rocciosi, nei momenti più freddi. L’accumulo di scheletri può benissimo la conseguenza di morti per causa naturale (3); la mortalità, in natura, è in generale sempre molto alta ma, in un ambiente protetto come le grotte, questi resti avevano molte più probabilità di conservarsi rispetto a quelli situati all’aperto. . Vi è inoltre da considerare che questo animale, benchè temibile (raggiungeva i tre metri d’altezza, in posizione eretta, e la tonnellata di peso) seguiva una nutrizione sostanzialmente vegetariana, non compatibile con i climi freddi dei periodi glaciali. Ed è forse questa la ragione per cui altre specie, come l’attuale orso bruno, essendo meno specializzate in fatto di dieta, si dimostrarono più competitive. Ma chiusa la digressione su questo animale, che pure grande importanza ebbe nell'ecosistema, nell'economia e persino nell'arte paleolitica, torneremo ad occuparci delle popolazioni umane. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
NOTE (i rimandi citati, per quanto puntuali, son da ritenersi soltanto esemplificativi; riferimenti bibliografici più esaustivi si trovano all'interno dei seguenti volumi)
1) Matteo Romandini, Stefano Bertola e Nicola Nannini, Nuovi dati sul Paleolitico dei Colli Berici: risultati preliminari dello studio archeozoologico e delle materie prime litiche della Grotta del Buso Doppio del Broion (Lumignano, Longare, Vicenza).
2) Susanne C. Münzel e Nicholas John Conard, Cave Bear Hunting in the Hohle Fels, a Cave Site in the AchValley, Swabian Jura.
3) Patrick Auguste, La chasse à l’ours au Paléolithique moyen: mythes, réalités et état de la question (in Le rôle de l’environnement dans les comportements des chasseurs cueilleurs préhistoriques, Colloque/Symposium C3.1, AttiUISPP XIV, BAR, International Series 1105), pp. 135-142; Philip Fosse e Philippe Morel, Taphonomie et ethologie des ursides pleistocenes (in L’Ours et l’Homme, Symposium d’Auberivesen-Royans, Isère, France), pp. 79-100.