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Ritorno all'Italia Paleolitica I


L’Italia, al pari di altri paesi europei, è molto ben rappresentata quanto a rinvenimenti del Paleolitico; non così l’Arco Alpino. A questo concorrono diversi fattori, di ordine ambientale e geologico. Non bisogna mai scordare, infatti, che il vero e assoluto regista della storia umana è sempre stato il clima; lo rimane tuttora, benchè sembri più facile ignorarlo (infilando, come si suol dire, la testa nella sabbia). E’ il clima a determinare la presenza umana, sui territori, nonché le modalità di insediamento e sviluppo. E nessuna regione del nostro continente è stata investita da cambiamenti climatici tanto drastici quanto le Alpi. Le glaciazioni, nel loro picco massimo, avevano reso l'intera catena, nonchè parte dell'area pedemontana, un'immensa calotta di ghiaccio, spessa fino ad 800 m (1), rendendo del tutto inabitabili questi luoghi.

Estensione della calotta alpina durante il picco dell'ultima glaciazione (21mila anni fa).

L’alternanza di fasi glaciali a fasi più miti non si limitò a definire la demografia alpina, ma ne modellarono il paesaggio. Le spinte dei ghiacciai disegnarono le giogaie montane, ampliarono le valli, determinarono la qualità del suolo (e dunque di ciò che vi cresceva e respirava). A differenza dei siti posti in altre regioni (ne abbiamo citati alcuni qui: Italia Paleolitica: premesse), la grande instabilità climatica alpina determinò un'alternanza di sedimentazioni ed erosioni, distruggendo oppure obliterando le già sporadiche tracce umane. O ancora, “incasinandole”: partendo dal presupposto che i reperti si depositano in strati sovrapposti (con quello più antico alla base, e i livelli via via più recente che vanno a posizionarsi al di sopra), questi sconvolgimenti possono alterare la successione stratigrafica. Tanto da render problematica, talvolta irrimediabilmente, la corretta lettura di un particolare sito.

Scorcio della Grotta S. Bernardino, Mossano (Vicenza)

Eppure, tracce se ne trovano. Oltre che dai resti funerari, la presenza umana è segnalata, il più delle volte, in maniera indiretta con le vestigia di varie strutture, legate alle attività quotidiane. Quelle artigianali, ad esempio, con la presenza di scarti di lavorazione dei materiali, oppure gli spazi dedicati alla macellazione degli animali cacciati, o al trattamento di altre materie prime (come i pigmenti naturali). O ancora, al riposo dei morti. Talvolta si distinguono resti di focolare: tracce più o meno tangibili offerte dagli avanzi del pasto (resti faunistici, calcinati dal fuoco), da ceneri e carbone- -(testimoniati da livelli nerastri), dall’alterazione del suolo roccioso per il calore rilasciato. Un esempio notevole in tal senso si ha dalla Grotta S. Bernardino, sui Colli Berici (nel vicentino), abitata o frequentata discontinuamente a partire almeno dai 250-200mila anni fa, con resti di focolari circondati da grosse pietre (2). Le evidenze umane più significative sono da attribuire ai Neanderthal, all’apice della loro epopea. Una presenza dapprima sporadica, poi sempre più consistente, rilevabile in altri siti dello stesso gruppo di colli (come Grotta del Col della Stria o a Buso Doppio del Broion). A cui a partire dai 40mila anni fa circa si affianca, inesorabilmente, quella di Homo sapiens, fino a sostituirsi completamente ad essa. Lì, come ovunque.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ NOTE (i rimandi citati, per quanto puntuali, son da ritenersi soltanto esemplificativi; riferimenti bibliografici più esaustivi si trovano all'interno dei seguenti volumi)



2) Marco Peresani, Come Eravamo. Viaggio nell’Italia Paleolitica, pag. 92; Juan Manuel López-García, Elisa Luzi, Marco Peresani, Middle to Late Pleistocene environmental and climatic reconstruction of the human occurrence at Grotta Maggiore di San Bernardino (Vicenza, Italy) through the small-mammal assemblage.



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